De insula affida all’intelligenza dei collezionisti privati la ricostruzione di pagine di cronaca e di storia del capitale artistico raccolto in Sardegna. Un vasto arco temporale, che abbraccia 160 anni, viene raccontato nei volti, nelle luci, nei costumi e nelle forme attraverso un meraviglioso mondo iconografico in cui tutto parla di noi. Sono presenti 300 opere, tra tele, ceramiche, installazioni e sculture che manifestano i cambiamenti di epoca sia da un punto di vista stilistico sia da un punto di vista antropologico, sociale e culturale. Il viaggio ha inizio in un clima rarefatto, come nel ritratto ieratico di signora, realizzato da un grande maestro dell’Ottocento, e si conclude in un magmatico universo contemporaneo. Emoziona osservare come la continuità di una figurazione classica e tradizionale nei temi, possa riaffiorare sotto nuove vesti nel mezzo di mutate esigenze sociali e istituzionali. Il vecchio che lascia lentamente spazio al nuovo che avanza, conglobandosi e stratificandosi nell’invenzione di una nuova tradizione, e l’irruzione improvvisa dell’influenza di movimenti artistici hanno determinato l’affermazione di un nuovo gusto estetico in una società non sempre pronta e disponibile a recepire l’arte come elemento fondamentale per la crescita di una comunità. Nel frattempo, giovani artisti talentuosi emergono nei primi anni del Novecento e le committenze, non solo istituzionali e cimiteriali, si ampliano lentamente grazie al nuovo ceto borghese in cerca di prestigio e di un posizionamento sociale. Fioriscono sempre più le botteghe, le Mostre di Arte Sarda si affermano e il clima del dibattito culturale si fa più intenso.
Le sale espositive dedicano ancora nel 1921, per esempio, ampio spazio agli artisti dell’Ottocento come Ballero, Rossino e Melis Marini mentre Ciusa si inserisce in modo unico e considerevole come anello di congiunzione che lega il passato al presente dei giovani Altara, Dessy, Albino Manca e Federico Melis. Per assistere al vero cambiamento di paradigma è necessario attendere la fine degli anni’50. Sebbene già Mauro Manca sia stato precursore immaginifico nella produzione artistica isolana, la vera rivoluzione arriva grazie a un folto gruppo di giovani artisti che cercano di spazzare via, con violenza e accesa critica, tutto ciò che rappresenta la tradizione, abbandonando il figurativo e sposando totalmente l’informale. Si costituisce negli anni ‘60 un mondo binario, tradizione che si cristallizza e procede lenta verso il suo naturale declino e sperimentazione che guarda con voluttà al mondo che cambia. L’onda lunga della forza prorompente delle neovanguardie, promossa soprattutto a partire dagli anni ’70 dalla galleria Arte Duchamp di Cagliari, comincia ad assopirsi anch’essa sul finire degli anni ‘80, lasciando incertezza e un vuoto che lentamente viene ricolmato dalle nuove generazioni di artisti che, forse inconsapevolmente, hanno già compiuto una terza rivoluzione estetica, attraverso temi e modelli di un mondo in cui l’Io è esploso, fluido, e si cerca furiosamente di ricomporlo e dargli almeno una forma momentanea.