La Sala San Pio X accoglie il Tesoro del Duomo ricco di paramenti, argenti e statuaria.
Alcune sculture d’ambito campano del XVII e del XVIII secolo ci introducono nella corposa collezione della Sala San Pio X: il Salvator Mundi e il San Simeone

Sala San Pio X

La Sala San Pio X accoglie il Tesoro del Duomo ricco di paramenti, argenti e statuaria.

Alcune sculture d’ambito campano del XVII e del XVIII secolo ci introducono nella corposa collezione della Sala San Pio X: il Salvator Mundi e il San Simeone, realizzati con la tecnica dell’estofado de oro ovvero la damaschinatura con foglia d’oro delle vesti.
Di particolare pregio troviamo anche le statuette lignee del Gruppo degli otto Apostoli che ci illustrano l’importanza della committenza del primo Cinquecento, voluti dall’arcivescovo per il nuovo altare maggiore della Cattedrale e realizzati dallo scultore catalano Jaume Rigalt e dal pittore di Stampace Pietro Cavaro.
Una selezione dei più preziosi argenti e paramenti della Cattedrale ci mostra l’evolversi del gusto artistico dei committenti, non più esclusivo gli arcivescovi ma ampliato al Capitolo Arborense che dispone svariati acquisti di suppellettile liturgica, come il calice del 1594.
Tra i paramenti più antichi custoditi in Cattedrale si ricorda la mitria vescovile, in broccatello laminato della fine del XVI secolo, e la pianeta detta di Leonardo D’Alagon, i cui ricami centrali con le figure dei SS. Andrea, Pantaleo, Michele, Sebastiano, il Redentore e la Madonna col Bambino appartengono alla fine del Quattrocento. Vero assemblaggio di argenti di epoche diverse è il Reliquiario della Vera Croce, realizzato nel 1623 unendo una croce tardogotica e un piede in argento di produzione locale.
Al Seicento appartengono invece un vassoio in argento sbalzato e cesellato, anch’esso opera di argentieri locali, e la pisside in argento dorato, donata alla Cattedrale nel 1642 dal notaio e consigliere civico Pietro Angelo Mura. Al primo Seicento appartengono anche i due busti reliquiario di Santa Leonzia e San Dionisio, che conservano la preziosa damaschinatura dorata. Della fine del Seicento è anche la pianeta in velluto giardino, massimo esempio della produzione tessile genovese. Settecenteschi sono i paramenti con ricami a fantasie esotiche e il parato pontificale dell’arcivescovo Vico-Torrellas (1741-1744), in velluto cremisi, quest’ultimo di manifattura genovese.
Oltre ai paramenti troviamo anche alcuni argenti del XVIII secolo, tra i quali una navicella porta incenso e il secchiello per l’acqua benedetta, realizzato da Sebastiano Cabras. Al Sant’Archelao, patrono dell’Arcidiocesi, è dedicato un apposito spazio espositivo accanto alla vetrina che custodisce la cassa con reliquiario in forma di corona e un piccolo ostensorio-reliquiario con all’interno un autentico castone d’argento, trova collocazione la statua del martire locale, in legno intagliato e policromato, dell’ambito di Giacomo Colombo, scultore napoletano. All’Ottocento si arriva con l’elegante calice del 1823 firmato dall’argentiere ligure Luigi Montaldo.

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