Miserere. Racconti votivi.

«…siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda…».
L’eco delle parole pronunciate da Papa Francesco il 27 Marzo scorso in un’apocalittica Piazza San Pietro deserta, avvolta dall’oscurità e battuta dalla pioggia, riverbera ancora forte, come miele accarezza le ferite dell’animo, lenisce dolori, patimenti, induce a confrontarci con sofferenze, speranze e preghiere che oggi più che mai appaiono corali, collettive e universali. Da qui la decisione di riaprire al pubblico le sale del Museo Diocesano Arborense con la mostra ideata per il periodo pasquale, allora inevitabilmente annullata, che adesso riletta con l’animo del “naufrago sopravissuto alla tempesta” si carica di nuovi e più intensi significati sociali, culturali, cultuali e antropologici.

Il progetto “MISERERE Racconti Votivi”, curato da Anna Rita Punzo con la direzione di Silvia Oppo, propone una riflessione sui dispositivi narrativi e rappresentativi della preghiera del sofferente: gli ex-voto. Il titolo rimanda alla capacità di queste potenti composizioni devozionali, polimorfe e polimateriche, di configurarsi quali peculiari “spazi locutori”, cioè atti di definizione e fissazione della parola e dunque di racconto. Le voci narranti sono quelle di tre sensibili interpreti: Giovanna Maria Boscani, Gianni Nieddu e Giovanni Sanna, cui si aggiunge il “coro” dei detenuti di diverse case circondariali regionali, autori degli ex-voto realizzati per il progetto “PGNR Pergrazianonricevuta” (di Giovanna Maria Boscani e Joe Perrino). In quest’ultimo caso l’oggetto votivo oltre a rappresentare la “via di fuga”, la speranza del riscatto, la soluzione escatologica contrapposta a un presente che trattiene entro il limes dell’impossibilità, è anche medium di significati e connessioni tra la prima tappa della Via Crucis e la sesta dell’agire misericordioso: Visitare i carcerati. La misericordia è il sentimento motivante dell’agire e dell’interagire umano che dispone l’animo alla compartecipazione della sofferenza altrui e avvicina colui che la intraprende al doloroso itinerario che condusse Cristo al Golgota; del resto lo stesso Gesù fu arrestato e condannato (Mt 26, 50), prima di lui i Patriarchi e i Profeti e dopo di lui i primi seguaci e cristiani. I detenuti sono inoltre menzionati nella parabola del giudizio finale (Mt 25, 31-46) “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, come pure nella lettera agli Ebrei (10, 32-35) “… avete preso parte alle sofferenze dei carcerati”, (13, 3) “…ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere”.
Le opere che definiscono il percorso espositivo articolano soluzioni stilistiche e materiche differenti. Il raffinato tratto grafico di Gianni Nieddu, ora essenziale, ora carico d’intensa densità chiaroscurale, mette in scena una Via Crucis concreta, solida, ferma e al contempo evanescente, in cui la presenza umana è appena accennata, quasi suggerita, in bilico tra manifestazione e negazione, percezione ed essenza. Il tratto rapido, sicuro e vibrante della sanguigna di Giovanni Sanna definisce le delicate membra e il ricco panneggio del nunzio evangelico che incede tra figure ed elementi architettonici solo abbozzati; sua competenza è “… portare al cospetto di Dio le preghiere degli uomini” (Tb 12,12) (Ap 5,8; 8,3), qui materialmente definite dagli ex-voto. Il ricco campionario di riproduzioni anatomiche, attributi iconografici e repertori figurativi realizzato da Giovanna Maria Boscani, amplifica ed enfatizza gli aspetti sacri, macabri e kitsch del lessico compositivo e didascalico-narrativo proprio della devozione popolare. I lavori dell’artista sassarese, in complesso con i cimeli votivi provenienti dai Santuari di Nostra Signora del Rimedio (Oristano), di Nostra Signora di Bonacattu (Bonarcado) e dalla Chiesa di San Palmerio (Ghilarza) compongono un tripudio di forme, colori, storie e simbologie tale da evocare le parole di Benedetto Croce che nel 1923 così ammoniva:
« Voi, illuminati nemici di superstizioni, voi che irridete le pratiche popolari, i santuari, le pitture miracolose, gli ex-voto, i tatuaggi sacri e simili, avete mai penetrato lo spirito di siffatte pratiche, le avete intese quali sono, simboli di vita morale, che infrenano, minacciano, consolano, e ispirano gentilezza di sentimenti e azioni buone? Schernite le goffe chiese spagnuole, dove le immagini dei santi sono incrostate di lamine d’argento e di altri ornamenti di cattivo gusto: ma forsechè quelle chiese sono musei per artisti e non case di Dio, nelle quali semplici devoti vanno per pregare? “» (B. Croce “Poesia e non Poesia”, 1923).
Quasi cento anni dopo il Museo Diocesano Arborense diventa “chiesa” per gli artisti che a quelle manifestazioni di semplice arte devozionale e popolare guardano con ammirazione, interesse e sensibilità.